MANUEL SCRIMA Disembody
Il sentimento e la composizione nella fotografia di Manuel Scrima
Di Chiara Canali
L’immagine del corpo nudo è una delle questioni più controverse in fotografia. L’iconografia artistica di riferimento e la rappresentazione simbolica dei temi affondano le radici nella pittura e nella statuaria. Il corpo umano nudo corpo nudo è sempre stato il soggetto più normativo di tutta la storia dell’arte. Le sue misure e proporzioni, conformi all’ideale di “bellezza classica”, hanno definito il codice per la rappresentazione plastica e architettonica e più recentemente quella fotografica.
La ricerca fotografica di Manuel Scrima si inserisce a pieno titolo nel solco di questa tradizione. La messa in scena del corpo umano non ha un intento narrativo o celebrativo, ma è funzionale nell’esplorazione del rapporto tra statuto dell’immagine e i confini dello spazio circostante, quello tra presenza e assenza del corpo e tra pieni e vuoti nello spazio.
Il titolo della serie Disembody allude al processo di Manuel Scrima che parte dallo studio del corpo, maschile e femminile, per arrivare a una fotografia disincarnata, incorporea, astratta, separata dal corpo di partenza.
Negli scatti di Scrima si rivela una profonda passione per la cultura classica e umanistica. Innanzitutto le foto sono tutte scattate in formato quadrato e le figure inscritte in questi quadrati sembrano rispettare, consapevolmente o no, gli schemi e le proporzioni della sezione aurea. Da sempre ritenuto un rapporto di grande armonia, si è creduto che la sezione aurea fosse capace di conferire bellezza intrinseca alle forme. Si è constatato che le figure posizionate lungo queste “linee di forza”, e ancor più quelle sistemate in corrispondenza di una loro intersezione, acquisissero particolare forza espressiva. Durante il Rinascimento la sezione aurea costituì per gli artisti “un canone di bellezza cui ispirarsi”. Al centro di tutto vi era, infatti, l’Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci, misura di tutte le cose, sospeso tra un quadrato e un cerchio.
Nelle opere di Manuel Scrima i corpi dei modelli sono effettivamente fotografati all’interno di cubi, in particolare in un cubo bianco in quarzo rigenerato (prodotto da Stone Italiana), in pose plastiche che copiano quelle della statuaria classica e che rassomigliano a solidi geometrici, come se la figura umana, data come forma perfetta, non possa che essere il risultato della combinazione e sintesi di due tipi fondamentali di forme: quelle a faccia piana e quelle a superficie ricurva. Le forme e le proporzioni dei corpi giocano con la tradizione antica della figura scolpita così come molti dei titoli delle opere rimandano alla mitologia greca (Metopa, Galatea). La fotografia Artemide sembra richiamare l’immagine del “Discobolo” di Mirone, dove il corpo dell’atleta è costruito sovrapponendo quattro triangoli, dunque secondo un approccio puramente astratto che suggerisce un punto di osservazione frontale.
Un altro elemento fondamentale e costruttivo per Scrima è l’utilizzo di teli e di garze che schermano le sagome dei corpi e permettono di sfruttare la luce come materiale compositivo, un modo di “scrivere con la luce” che ci riporta al significato etimologico del termine fotografia e alla sua stessa essenza. La luce scolpisce le forme delineandone i profili e crea un’alternanza di ombre che si proiettano sullo sfondo dello scatto.
La perfezione formale della scultura classica e il sensuale effetto edonistico delle ombre sono il punto di partenza per una fotografia che punta alla sintetizzazione formale e stilistica, in cui si fondono sagome astratte con linee geometriche attraverso un drammatico contrasto di chiari-scuri.
Manuel Scrima è interessato a una fotografia del dettaglio, ottenuta solamente grazie alla tecnica fotografica senza alcun intervento in postproduzione, dove la composizione e la simmetria delle forme non è dettata dalla duplicazione e specularità delle immagini ma dalla associazione maniacale di corrispondenze formali ed equilibri corporei.
Un rimando alla simmetria che si denota in maniera ancor più velata e allusiva nella serie delle Maschere che richiamano disegni geometrici e motivi tribali: il volto diventa una forma concava, gli occhi diventano dei triangoli stilizzati e i tratti diventano essenziali e ridotti, schematizzati in piccole porzioni che assumono una valenza astratta.
La duplicazione e la ripetizione delle immagini sono il pretesto per una modularità componibile che diventa il motivo dell’opera Mosaico, un pavimento a mosaico costituito da un puzzle di 400 mattonelle di pietra tagliate a mano e stampate con i soggetti creati dall’artista. In questo tappeto si perde ormai la configurazione originaria dell’immagine per lasciare spazio a una superficie completamente astratta dove i pattern grafici mostrano nuove possibilità formali e associative delle immagini.
Scrima si direziona, dunque, verso un’astrazione geometrica che risente comunque del rigore classico, in quanto la figura corporea di partenza è oggettualizzata, smaterializzata e scomposta, proprio come nelle opere del cubismo e dell’astrattismo pittorico.
Una sorta di purismo fotografico riconducibile agli insegnamenti del teorico e artista Jaromír Funke, perché appartengono alla sua fotografia due componenti sostanziali: “il sentimento e la composizione”.
Un sentimento adamantino verso lo statuto dell’immagine in continua mutazione, evoluzione e trasformazione, che determina un senso di sospensione e alterità. A partire dalla frattura operata dalla Body Art, in cui i corpi subiscono una modificazione iconica e culturale, dive-nendo mutanti nati dalla contaminazione di pratiche espressive, mediali e tecnologiche. I corpi di Manuel Scrima, seppur mantenendo una forte carica sessuale e organica, sono ridotti a una forma geometrica fondamentale. L’indiscutibile evidenza dell’ordine compositivo serve a indirizzare l’attenzione sulla bellezza e la verità del soggetto.
Una composizione fotografica legata all’idea di astrazione ma che si confronta con tutta la storia dell’arte moderna più che con la storia della fotografia. Robert Adams nel suo libro La bellezza in fotografia suggeriva che la fotografia è nuova “perché è per natura costretta a ripetere l’antico mestiere dell’arte: sco¬prire e rivelare il senso della confusa materia della vita. Paradossalmente, si può capire questa novità considerando, ad esempio, che le fotogra¬fie di Nick Nixon sono più vicine a Piero della Francesca che a Franz Kline, quelle di Robert Frank a Bruegel più che a Robert Motherwell, quelle di Mark Cohen più a Goya che a Frank Stella, e così via” .
Così la fotografia di Manuel Scrima rilegge preferibilmente le silhouette ritmate e astratte dei “Nudi Blu” di Henri Matisse piuttosto che i corpi scultorei di Robert Mapplethorpe; guarda alle voluttuose ed essenziali impronte blu di Klein più che le rayografie di Man Ray; studia le campiture a losanghe marroni di Rothko piuttosto che i fotogrammi astratti di Luigi Veronesi; riscopre le strutture geometrizzanti delle maschere cubiste piuttosto che le polaroid di Paolo Gioli.
Attraverso un procedimento concettuale che si riconnette allo stesso tempo con quello proprio della pittura e della scultura astratta, Scrima perviene a una composizione di bellezza astratta delineata da una sinterizzazione delle forme che evidenzia in maniera estrema la sostanziale differenza esistente tra opera d’arte e realtà vivente da cui questa trae spunto.
Nota: Robert Adams, La bellezza in fotografia, Bollati Boringhieri, Torino 2012, p. 47.
Di Chiara Canali
L’immagine del corpo nudo è una delle questioni più controverse in fotografia. L’iconografia artistica di riferimento e la rappresentazione simbolica dei temi affondano le radici nella pittura e nella statuaria. Il corpo umano nudo corpo nudo è sempre stato il soggetto più normativo di tutta la storia dell’arte. Le sue misure e proporzioni, conformi all’ideale di “bellezza classica”, hanno definito il codice per la rappresentazione plastica e architettonica e più recentemente quella fotografica.
La ricerca fotografica di Manuel Scrima si inserisce a pieno titolo nel solco di questa tradizione. La messa in scena del corpo umano non ha un intento narrativo o celebrativo, ma è funzionale nell’esplorazione del rapporto tra statuto dell’immagine e i confini dello spazio circostante, quello tra presenza e assenza del corpo e tra pieni e vuoti nello spazio.
Il titolo della serie Disembody allude al processo di Manuel Scrima che parte dallo studio del corpo, maschile e femminile, per arrivare a una fotografia disincarnata, incorporea, astratta, separata dal corpo di partenza.
Negli scatti di Scrima si rivela una profonda passione per la cultura classica e umanistica. Innanzitutto le foto sono tutte scattate in formato quadrato e le figure inscritte in questi quadrati sembrano rispettare, consapevolmente o no, gli schemi e le proporzioni della sezione aurea. Da sempre ritenuto un rapporto di grande armonia, si è creduto che la sezione aurea fosse capace di conferire bellezza intrinseca alle forme. Si è constatato che le figure posizionate lungo queste “linee di forza”, e ancor più quelle sistemate in corrispondenza di una loro intersezione, acquisissero particolare forza espressiva. Durante il Rinascimento la sezione aurea costituì per gli artisti “un canone di bellezza cui ispirarsi”. Al centro di tutto vi era, infatti, l’Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci, misura di tutte le cose, sospeso tra un quadrato e un cerchio.
Nelle opere di Manuel Scrima i corpi dei modelli sono effettivamente fotografati all’interno di cubi, in particolare in un cubo bianco in quarzo rigenerato (prodotto da Stone Italiana), in pose plastiche che copiano quelle della statuaria classica e che rassomigliano a solidi geometrici, come se la figura umana, data come forma perfetta, non possa che essere il risultato della combinazione e sintesi di due tipi fondamentali di forme: quelle a faccia piana e quelle a superficie ricurva. Le forme e le proporzioni dei corpi giocano con la tradizione antica della figura scolpita così come molti dei titoli delle opere rimandano alla mitologia greca (Metopa, Galatea). La fotografia Artemide sembra richiamare l’immagine del “Discobolo” di Mirone, dove il corpo dell’atleta è costruito sovrapponendo quattro triangoli, dunque secondo un approccio puramente astratto che suggerisce un punto di osservazione frontale.
Un altro elemento fondamentale e costruttivo per Scrima è l’utilizzo di teli e di garze che schermano le sagome dei corpi e permettono di sfruttare la luce come materiale compositivo, un modo di “scrivere con la luce” che ci riporta al significato etimologico del termine fotografia e alla sua stessa essenza. La luce scolpisce le forme delineandone i profili e crea un’alternanza di ombre che si proiettano sullo sfondo dello scatto.
La perfezione formale della scultura classica e il sensuale effetto edonistico delle ombre sono il punto di partenza per una fotografia che punta alla sintetizzazione formale e stilistica, in cui si fondono sagome astratte con linee geometriche attraverso un drammatico contrasto di chiari-scuri.
Manuel Scrima è interessato a una fotografia del dettaglio, ottenuta solamente grazie alla tecnica fotografica senza alcun intervento in postproduzione, dove la composizione e la simmetria delle forme non è dettata dalla duplicazione e specularità delle immagini ma dalla associazione maniacale di corrispondenze formali ed equilibri corporei.
Un rimando alla simmetria che si denota in maniera ancor più velata e allusiva nella serie delle Maschere che richiamano disegni geometrici e motivi tribali: il volto diventa una forma concava, gli occhi diventano dei triangoli stilizzati e i tratti diventano essenziali e ridotti, schematizzati in piccole porzioni che assumono una valenza astratta.
La duplicazione e la ripetizione delle immagini sono il pretesto per una modularità componibile che diventa il motivo dell’opera Mosaico, un pavimento a mosaico costituito da un puzzle di 400 mattonelle di pietra tagliate a mano e stampate con i soggetti creati dall’artista. In questo tappeto si perde ormai la configurazione originaria dell’immagine per lasciare spazio a una superficie completamente astratta dove i pattern grafici mostrano nuove possibilità formali e associative delle immagini.
Scrima si direziona, dunque, verso un’astrazione geometrica che risente comunque del rigore classico, in quanto la figura corporea di partenza è oggettualizzata, smaterializzata e scomposta, proprio come nelle opere del cubismo e dell’astrattismo pittorico.
Una sorta di purismo fotografico riconducibile agli insegnamenti del teorico e artista Jaromír Funke, perché appartengono alla sua fotografia due componenti sostanziali: “il sentimento e la composizione”.
Un sentimento adamantino verso lo statuto dell’immagine in continua mutazione, evoluzione e trasformazione, che determina un senso di sospensione e alterità. A partire dalla frattura operata dalla Body Art, in cui i corpi subiscono una modificazione iconica e culturale, dive-nendo mutanti nati dalla contaminazione di pratiche espressive, mediali e tecnologiche. I corpi di Manuel Scrima, seppur mantenendo una forte carica sessuale e organica, sono ridotti a una forma geometrica fondamentale. L’indiscutibile evidenza dell’ordine compositivo serve a indirizzare l’attenzione sulla bellezza e la verità del soggetto.
Una composizione fotografica legata all’idea di astrazione ma che si confronta con tutta la storia dell’arte moderna più che con la storia della fotografia. Robert Adams nel suo libro La bellezza in fotografia suggeriva che la fotografia è nuova “perché è per natura costretta a ripetere l’antico mestiere dell’arte: sco¬prire e rivelare il senso della confusa materia della vita. Paradossalmente, si può capire questa novità considerando, ad esempio, che le fotogra¬fie di Nick Nixon sono più vicine a Piero della Francesca che a Franz Kline, quelle di Robert Frank a Bruegel più che a Robert Motherwell, quelle di Mark Cohen più a Goya che a Frank Stella, e così via” .
Così la fotografia di Manuel Scrima rilegge preferibilmente le silhouette ritmate e astratte dei “Nudi Blu” di Henri Matisse piuttosto che i corpi scultorei di Robert Mapplethorpe; guarda alle voluttuose ed essenziali impronte blu di Klein più che le rayografie di Man Ray; studia le campiture a losanghe marroni di Rothko piuttosto che i fotogrammi astratti di Luigi Veronesi; riscopre le strutture geometrizzanti delle maschere cubiste piuttosto che le polaroid di Paolo Gioli.
Attraverso un procedimento concettuale che si riconnette allo stesso tempo con quello proprio della pittura e della scultura astratta, Scrima perviene a una composizione di bellezza astratta delineata da una sinterizzazione delle forme che evidenzia in maniera estrema la sostanziale differenza esistente tra opera d’arte e realtà vivente da cui questa trae spunto.
Nota: Robert Adams, La bellezza in fotografia, Bollati Boringhieri, Torino 2012, p. 47.