MANUEL FELISI Nato a Milano Lambrate
A cura di Alberto Mattia Martini.
Indefinito, possibile o inattuabile, luogo ignoto a volte oscuro, esitazione, imprevedibile, oltremodo coinvolgente, spesso inafferrabile, reale o ipotetico, ma certamente irripetibile nella sua unicità: è il viaggio, vissuto o sognato, “consumato” a migliaia di Km di distanza o vicino ai luoghi dove trascorriamo ogni giorno la nostra vita.
Uno dei viaggiatori per eccellenza, Bruce Chatwin ci suggerisce che: “La vera casa dell’uomo non è una casa, è la strada e la vita stessa è un viaggio da fare a piedi”, un’esperienza non legata necessariamente alla lontananza, ma che riguarda il singolo nella sua intimità e al contempo con ciò che lo circonda, con il quotidiano.
Anche Manuel Felisi ci propone un viaggio, un percorso giocato tra l’illusorio e il reale, che nasce a Lambrate, il luogo dove Manuel è nato, cresciuto e vissuto, dove ha sperimentato la vita, sbrigliato i nodi della quotidianità, assaporandone anche il gusto, il piacere di conoscere concretamente un territorio, sviscerarne le assenze e lasciarsi avvolgere dall’energia dei pensieri e dai compagni di viaggio.
Dal suo quartiere, dall’ambiente a lui più familiare è partito il suo lungo viaggio, un errare stratificato, inteso come un susseguirsi di esperienze, accadimenti, eventi, persone, spazi, architetture, profumi, odori, suoni, ma anche idee, materiali, colori, fotografie, che man mano si raccolgono, si affastellano e prendono la forma di tanti cassetti nella mente.
Felisi ci offre un racconto, un’esperienza di quello, che noi tutti potremmo vivere quotidianamente, ogni giorno, durante il tragitto da casa al lavoro, mentre svolgiamo la nostra attività, durante la pausa pranzo, oppure durante una passeggiata o uno spostamento in un’altra città o ancora durante una vacanza. È a questo punto, che l’artista milanese impugna la sua macchina fotografica e inizia a scattare, ad assaporare il piacere del poter risucchiare un istante di realtà, di cogliere e bloccare per sempre quell’idea di movimento, che continuamente ci sottrae al pensiero di senso comune e ci invita ad una riflessione autonoma e intima, decisamente soggettiva.
La fotografia come un’emozione provata, viene quindi gelosamente custodita e conservata in modo, che possa essere utilizzata successivamente, quando si andrà a immergere, unirsi e confondere con altri materiali, con un supporto precedentemente o contemporaneamente creato. Il procedimento generativo, che Manuel Felisi mette in atto segue infatti un cammino, inusuale o comunque percorre un iter inverso rispetto ad opere, che si avvalgono, tra i vari materiali e tecniche, anche di quella fotografica.
Qui infatti il “ritratto meccanico” è l’ultimo passaggio della gestazione, viene posto come una sorta di “elemento di vita”, traccia e ricordo del tempo passato, che ancora vive nell’animo, sia di chi lo ha vissuto, sia di chi ha la fortuna o l’ampiezza morale di poterne cogliere le vibrazioni. Precedentemente la cifra artistica di Felisi si compone di altri elementi come quello floreale, soggetto ricorrente in quasi tutti i suoi lavori, assume e dona all’immagine una percezione di primordialità, intesa come origine, simbolo di vita e di fecondità, qui investito anche di un sapore antico, di ricordi sfumati, che fanno ritornare alla mente quell’Art Nouveau, che più di un secolo fa ebbe la forza di coinvolgere ed incantare l’Europa intera. La natura qui viene o “colta” nel mondo della carta stampata e poi con l’aiuto della tecnologia impressa sulla tela o stesa con vecchi rulli Liberty, così da interpretare perfettamente il ruolo di sfondo evaporato nel tempo.
Ritagli di giornale, fotografie, materia, colore, si uniscono in un unico collage, pronto per essere stampato digitalmente su tela; le immagini si inoltrano e compenetrano tanto da diventare un solo elemento grafico, diverse nature della stessa realtà, immerse e avvolte da un’emozionale atmosfera soffusa, trasognata, dove i colori da luminosi ed intensi, assumono toni delicati e vibrano di languida armonia.
Prendono così forma opere che arrivano a metterci in relazione diretta con i luoghi rappresentati, come se fossero parte del nostro vissuto; si viene a creare un collegamento diretto tra soggetto e spazio, tra uomo e memoria, tra presente e passato o futuro di un luogo dove siamo stati o dove forse primo poi capiterà di ritrovarsi.
Manuel Felisi sembra trarci in inganno, tanto da stimolare sensazioni lontane e provocando un dubbio, che almeno una volta nella vita ognuno di noi si è posto: “Questo momento mi sembra di averlo già vissuto. In questo luogo mi sembra di esserci già stato”. Improvvisamente poi ci si risveglia e ci riappare un mondo per un attimo dimenticato, è questo il momento nel quale la densa inquietudine del trascorso ci chiama è pretende di essere fissata non solo nella nostra memoria, ma nella poetica del “fare artistico”, identità capace di dialogare con i sentimenti e di produrre un nesso tra arte-vita.
Il risultato non è quindi ridotto a una domanda sul luogo in sé, ma l’opera di Felisi produce nel fruitore uno stimolo ad ascoltare e riflettere sulla nostra presenza all’interno degli spazi, che giornalmente frequentiamo e viviamo; un prendere atto dell’importanza di non limitarci alla semplice registrazione dei fatti, ma mettere in atto un processo di elaborazione dei dati e dei sensi dell’esperienza vissuta.
Potremmo paragonare Manuel Felisi ad un moderno Romantico, per quella forte presa di coscienza e desiderio di passato e memoria, che non è semplice nostalgia, ma innovazione culturale unita al nostro trascorso, alle tradizioni, ai rapporti tra uomo e natura, in forte connessione con lo sviluppo delle nuove tecnologie.
Benjamin diceva che chi ha esperienza è capace di prendere atto di ciò che sta attraversando e dunque orientarsi; questo a mio avviso non significa, che non sia piacevole e interessante, abbandonarsi e immergersi completamente nel luogo, che ci ospita, ma anche cercare di comprendere o almeno avvicinarsi alla frammentarietà dell’esistenza, alle sue infinite sfaccettature e tutto ciò è possibile solo se ogni tanto ricordiamo dove ci troviamo.
Certamente dalle opere di Manuel Felisi emerge il desiderio di non volersi lasciare ingabbiare nel confine di un’esistenza definita e definitiva, ma insinuarsi in una continua ricerca, esplorando il mondo, osservandone i luoghi, gli oggetti, le persone, affinché l’idea del gesto artistico si trasformi in libero movimento di pensiero esteso e condivisibile.
Indefinito, possibile o inattuabile, luogo ignoto a volte oscuro, esitazione, imprevedibile, oltremodo coinvolgente, spesso inafferrabile, reale o ipotetico, ma certamente irripetibile nella sua unicità: è il viaggio, vissuto o sognato, “consumato” a migliaia di Km di distanza o vicino ai luoghi dove trascorriamo ogni giorno la nostra vita.
Uno dei viaggiatori per eccellenza, Bruce Chatwin ci suggerisce che: “La vera casa dell’uomo non è una casa, è la strada e la vita stessa è un viaggio da fare a piedi”, un’esperienza non legata necessariamente alla lontananza, ma che riguarda il singolo nella sua intimità e al contempo con ciò che lo circonda, con il quotidiano.
Anche Manuel Felisi ci propone un viaggio, un percorso giocato tra l’illusorio e il reale, che nasce a Lambrate, il luogo dove Manuel è nato, cresciuto e vissuto, dove ha sperimentato la vita, sbrigliato i nodi della quotidianità, assaporandone anche il gusto, il piacere di conoscere concretamente un territorio, sviscerarne le assenze e lasciarsi avvolgere dall’energia dei pensieri e dai compagni di viaggio.
Dal suo quartiere, dall’ambiente a lui più familiare è partito il suo lungo viaggio, un errare stratificato, inteso come un susseguirsi di esperienze, accadimenti, eventi, persone, spazi, architetture, profumi, odori, suoni, ma anche idee, materiali, colori, fotografie, che man mano si raccolgono, si affastellano e prendono la forma di tanti cassetti nella mente.
Felisi ci offre un racconto, un’esperienza di quello, che noi tutti potremmo vivere quotidianamente, ogni giorno, durante il tragitto da casa al lavoro, mentre svolgiamo la nostra attività, durante la pausa pranzo, oppure durante una passeggiata o uno spostamento in un’altra città o ancora durante una vacanza. È a questo punto, che l’artista milanese impugna la sua macchina fotografica e inizia a scattare, ad assaporare il piacere del poter risucchiare un istante di realtà, di cogliere e bloccare per sempre quell’idea di movimento, che continuamente ci sottrae al pensiero di senso comune e ci invita ad una riflessione autonoma e intima, decisamente soggettiva.
La fotografia come un’emozione provata, viene quindi gelosamente custodita e conservata in modo, che possa essere utilizzata successivamente, quando si andrà a immergere, unirsi e confondere con altri materiali, con un supporto precedentemente o contemporaneamente creato. Il procedimento generativo, che Manuel Felisi mette in atto segue infatti un cammino, inusuale o comunque percorre un iter inverso rispetto ad opere, che si avvalgono, tra i vari materiali e tecniche, anche di quella fotografica.
Qui infatti il “ritratto meccanico” è l’ultimo passaggio della gestazione, viene posto come una sorta di “elemento di vita”, traccia e ricordo del tempo passato, che ancora vive nell’animo, sia di chi lo ha vissuto, sia di chi ha la fortuna o l’ampiezza morale di poterne cogliere le vibrazioni. Precedentemente la cifra artistica di Felisi si compone di altri elementi come quello floreale, soggetto ricorrente in quasi tutti i suoi lavori, assume e dona all’immagine una percezione di primordialità, intesa come origine, simbolo di vita e di fecondità, qui investito anche di un sapore antico, di ricordi sfumati, che fanno ritornare alla mente quell’Art Nouveau, che più di un secolo fa ebbe la forza di coinvolgere ed incantare l’Europa intera. La natura qui viene o “colta” nel mondo della carta stampata e poi con l’aiuto della tecnologia impressa sulla tela o stesa con vecchi rulli Liberty, così da interpretare perfettamente il ruolo di sfondo evaporato nel tempo.
Ritagli di giornale, fotografie, materia, colore, si uniscono in un unico collage, pronto per essere stampato digitalmente su tela; le immagini si inoltrano e compenetrano tanto da diventare un solo elemento grafico, diverse nature della stessa realtà, immerse e avvolte da un’emozionale atmosfera soffusa, trasognata, dove i colori da luminosi ed intensi, assumono toni delicati e vibrano di languida armonia.
Prendono così forma opere che arrivano a metterci in relazione diretta con i luoghi rappresentati, come se fossero parte del nostro vissuto; si viene a creare un collegamento diretto tra soggetto e spazio, tra uomo e memoria, tra presente e passato o futuro di un luogo dove siamo stati o dove forse primo poi capiterà di ritrovarsi.
Manuel Felisi sembra trarci in inganno, tanto da stimolare sensazioni lontane e provocando un dubbio, che almeno una volta nella vita ognuno di noi si è posto: “Questo momento mi sembra di averlo già vissuto. In questo luogo mi sembra di esserci già stato”. Improvvisamente poi ci si risveglia e ci riappare un mondo per un attimo dimenticato, è questo il momento nel quale la densa inquietudine del trascorso ci chiama è pretende di essere fissata non solo nella nostra memoria, ma nella poetica del “fare artistico”, identità capace di dialogare con i sentimenti e di produrre un nesso tra arte-vita.
Il risultato non è quindi ridotto a una domanda sul luogo in sé, ma l’opera di Felisi produce nel fruitore uno stimolo ad ascoltare e riflettere sulla nostra presenza all’interno degli spazi, che giornalmente frequentiamo e viviamo; un prendere atto dell’importanza di non limitarci alla semplice registrazione dei fatti, ma mettere in atto un processo di elaborazione dei dati e dei sensi dell’esperienza vissuta.
Potremmo paragonare Manuel Felisi ad un moderno Romantico, per quella forte presa di coscienza e desiderio di passato e memoria, che non è semplice nostalgia, ma innovazione culturale unita al nostro trascorso, alle tradizioni, ai rapporti tra uomo e natura, in forte connessione con lo sviluppo delle nuove tecnologie.
Benjamin diceva che chi ha esperienza è capace di prendere atto di ciò che sta attraversando e dunque orientarsi; questo a mio avviso non significa, che non sia piacevole e interessante, abbandonarsi e immergersi completamente nel luogo, che ci ospita, ma anche cercare di comprendere o almeno avvicinarsi alla frammentarietà dell’esistenza, alle sue infinite sfaccettature e tutto ciò è possibile solo se ogni tanto ricordiamo dove ci troviamo.
Certamente dalle opere di Manuel Felisi emerge il desiderio di non volersi lasciare ingabbiare nel confine di un’esistenza definita e definitiva, ma insinuarsi in una continua ricerca, esplorando il mondo, osservandone i luoghi, gli oggetti, le persone, affinché l’idea del gesto artistico si trasformi in libero movimento di pensiero esteso e condivisibile.