FABIO GIAMPIETRO Metromorfosi
Yves Klein states that a new world needs a new man. Nowadays, the opposite urgency is equally authentic and inescapable: a new man needs a new world. This last statement may not depend on the first one, but the current life dimension compels a radical awareness and an immediate u-turn. According to Aldous Huxley, it is probably high time to choose if try to reach the New World , come hell or high water, or not to try. New World that is a privilege of a society outwardly without concerns, happy, in good health, where there is no poverty. But that actually had to sacrifice its love, culture differences, art, family, philosophy, science, religion and literature to achieve these outcomes.
Let’s then choose where and how we want to live our lives, “which future we would like to be” so that we can intensely enjoy it.
Let’s start from a new point of view and welcome Fabio Giampietro’s invitation to leave the normality behind, the dull sight of the ordinary life. Let’s look up and change our point of view, sailing towards free unknown. The main role is played by the city, exactly by the skyscraper, status symbol of the XX century and main character in our everyday movie: the life. The plot’ starting point is Babele, exemplification of the human desire to reach and gain unheard-of peaks, irrepressible wish to cross every bound. Nevertheless, it is common knowledge that the result was not good, but, probably, thank to the consequent dispersion and confusion, today we can benefit from the different singularities typical of every individual.
The world through which Giampietro guides everyone who wants to experience the vertigo, the bravery, the unusual, is a raised trip among the metropolis’ arteries, into a body made of concrete that daily throbs and tells the story of who walks and lives down to earth but thinks and dreams above the line.
It has been few years now ever since Fabio Giampietro chose to tell about Cony Island, ravished by the beauty of its landscape. He throws us into the first Luna Park of the history and makes us savour that particular atmosphere. However, this is more than a fun fair: the Wonder Wheel and the delight places are pervaded by dull atmosphere, crumbling sometimes, as if they want to recall the devastating fire in 1932, which changed this magic territory’s destiny. Giampietro starts from this very place, genesis of the urban experimentation, new way of looking at architecture, that will lead to Manhattan’ skyscrapers. It is a radical change in the way of conceiving the city, so very well described in Delirious New York by Reem Koolhaas, source of inspiration for the artist from Milan to enter into the meanders of his megalopolis.
If at that time New York was an unicum, an extraordinary case, a laboratory of artificial, technological and futuristic research, nowadays the town planning concerns abigger number of cities, where the border between artefact, reality and nature seems to be vanished.
Fabio Giampietro’ sharp look is not limited to the bird’s-eye view and the consequent feeling of dizziness. In his last artistic production, he guides the observer’s eyes beyond the ostensible limits and he urges him to pass the painted layer, reaching the pigments’ texture. The metropolis becomes an image-maker thanks to its structure, its buildings and streets; it embodies an alive shape, it takes the features of a living being. As the physical presence of the citizens and their thoughts have enlarged so much to totally pervade the space. The artist’s dreamed city not only welcomes and tells the human being’ stories but it deeply shares these so that it takes human features.
The city does not change its architectural structure but it changes its identity, becoming impregnated with human spirit. Giampietro is aware of the fact that today that the caos reign supreme over the city. But caos is not only mere disorganised disorder; it is, above all disinclination to put yourself to the test, loathing to the risk of experimentations. The human being cruises in a space that he does not know, where he does not find himself and is not acknowledged. This imbalance reduces the two identities man and city, outwardly in step with each other, to an alien level, unifying and disintegrating at the same time.
There are gestures, strong draws that suddenly become weak and less intense, like memories. If the artist chose colours like sepia, black and white to tell the American dream, today it is the city itself that produces easily and in big amount a useful pigment for the artist: the smog. The city’s products – defined by Giampietro as “the colours of everyday’s life” - are pieces of that mosaic swarming with no life.
Giampietro’s city is a fractal- metropolis, conceived, born and endlessly reproduced so to become a city into a city. More and more often the one who lives this world made of concrete, feels his body and mind caught in the grip of “mural thoughts”. We cruise looking for nothing but hoping to meet the fractal of ourselves sooner or later.
Organic status became inorganic, where the concrete is the only fellow traveller, suddenly find again the meaning of their err in a beam of light. This is an intuition that, urging to go over one’s physical nature, reveals to the mind the perpetual becoming.
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Fabio Giampietro
Testo di A.M.Martini
Se per Yves Klein un mondo nuovo ha bisogno di un uomo nuovo, attualmente è altrettanto autentica e improcrastinabile l’urgenza opposta: un uomo nuovo ha bisogno di un mondo nuovo. Forse è un gatto che si morde la coda, probabilmente la seconda ipotesi è imprescindibile dalla prima, ma l’attuale dimensione vitale impone una radicale presa di coscienza e un’immediata inversione di marcia. È venuto forse il tempo di decidere se cercare ad ogni costo di conseguire il miraggio di un Mondo nuovo , appannaggio di una società apparentemente priva di preoccupazioni, felice, in buona salute, dove non esiste la povertà, ma che per ottenere tali “risultati” ha dovuto sacrificare, l’amore, la diversità culturale, l’arte, la famiglia, la filosofia, la scienza, la religione e la letteratura.
Allora decidiamo, dove e come vogliamo vivere, “quale futuro vorremmo essere” in modo da poterlo vivere intensamente.
Iniziamo da un nuovo punto di vista, proviamo ad accogliere l’invito di Fabio Giampietro e abbandoniamo il consueto, l’ordinario occhio che osserva con vista piatta e alziamo lo sguardo, cambiamo prospettiva veleggiando verso un libero ignoto. Protagonista della ricerca dell’artista milanese sono la città e il gratta-cielo, elementi simbolo del XX secolo e ancora tra gli interpreti principali del film che viviamo ogni giorno: la vita. La radice di provenienza è certamente Babele, esemplificazione del desiderio umano di raggiungere e ottenere vette inaudite, brama irreprimibile di spingersi oltre ogni limite. Il risultato tuttavia come sappiamo non fu dei migliori, ma probabilmente grazie alla dispersione e confusione che si venne a creare, oggi possiamo beneficiare della diversità che contraddistingue ogni singolo uomo.
L’itinerario attraverso il quale Giampietro conduce chiunque abbia volontà di vivere l’esperienza della vertigine dell’audacia, del fremito dell’inusitato, è un viaggio “sopraelevato”, tra le arterie della metropoli, in un corpo di cemento, che pulsa quotidianamente raccontando una storia, di chi cammina e vive con i piedi per terra, ma che pensa e sogna oltre il limite codificato.
Ormai è trascorso qualche anno da quando Fabio Giampietro decide di raccontare Coney Island, o meglio rapito dal fascino di quei paesaggi, ci proietta nel primo Luna Park della storia, facendoci assaporare parte di quell’atmosfera. Qui tuttavia il parco non è solo dei divertimenti, ma la Wonder Wheel e i luoghi del diletto sono pervasi da atmosfere plumbee, a volte fatiscenti, quasi a voler ricordare il devastante incendio, che nel 1932 cambiò le sorti di questo territorio magico. Giampietro parte proprio da questi spazi, genesi della sperimentazione urbanistica, nuovo modo di fare architettura, che vedrà poi la sua evoluzione nei grattacieli di Manhattan. Una trasformazione radicale nel modo di concepire la città, così bene descritto in Delirious New York , testo dal quale lo stesso artista trae ispirazione per addentrarsi nei meandri delle sue megalopoli.
Se allora la Grande Mela era un unicum, caso straordinario e laboratorio di ricerca di esperienza artificiali, tecnologiche e futuristiche, oggi l’urbanistica è un aspetto che riguarda un numero sempre maggiori di città, dove il confine tra artefatto, esistente e naturale sembra essere svanito.
Ecco che lo sguardo penetrante di Fabio Giampietro non si circoscrive alla visione aerea e alla conseguente sensazione della vertigine, ma nell’ultima produzione artistica, egli conduce l’occhio del fruitore oltre i limiti apparenti e lo esorta ad addentrarsi sotto l’involucro della pittura, tra le trame della stratificazione materica del pigmento. La metropoli diviene immaginifica con le sue conformazioni, con gli edifici, con le strade; essa incarna una configurazione vitale, assume le fattezze del vivente, come se la presenza e il pensiero degli abitanti metropolitani si ampliassero a tal punto da pervaderne lo spazio. La città che l’artista fantastica, non solo accoglie e racconta le storie dell’uomo, ma ne diviene profondamente partecipe tanto da assumerne le sembianze. I luoghi, le vie, le piazze, i palazzi da statici prodotti strutturali, divengono elementi dinamici, creando le tessere di un mosaico labirintico, brulicante di vita. Il sottosuolo urbano si muove, si contorce ribollendo fino a fare affiorare in superficie un mondo che per troppo tempo ha represso i suoi istinti di sensibilità emotiva. Finalmente l’uomo libera il pensiero, abbandona la maschera, lasciandosi librare tra i suoi ricordi, tra il tempo e la storia, permettendo così di giungere ad una reale primavera del sé. Ecco che le visioni oniriche si fanno icone della storia dell’arte, affrescandoci e quindi trasponendo in tangibile alcuni temi ricorrenti nella mente umana: lo stupore, la paura e il coraggio proprie della Medusa del Caravaggio; la morte, la religione e l’invito a considerare sempre nuovi punti di vista, riconducibili al Cristo Morto del Mantegna; l’attestazione della forza e della magnificenza della natura, antitetica alla fragilità dell’uomo, compaiono come simboli nella Grande Onda di Hokusai. La città non soccombe, ma risvegliata da un lungo letargo immobilizzante, genera un effetto “metromorfoso”; lascia apparentemente intatta la sua originaria struttura spaziale e architettonica, muta d’identità impregnandosi dei sogni o dei desideri, che avvolgono costantemente lo spirito umano. È giunta l’ora del distacco, del lungo e improcrastinabile viaggio antropico attraverso e dentro l’immagine, costituita dalla proiezione del desiderio di evasione dal reale. Giampietro ha ben presente che a regnare nelle metropoli è il caos, inteso non come puro disordine disorganizzativo, ma come sorta di idiosincrasia allergica al rischio concepito come pura sperimentazione. L’uomo vaga senza meta in uno spazio che non conosce, in cui non si ritrova e dal quale non è riconosciuto; uno squilibrio che riduce le due identità uomo-città apparentemente armoniche, in una forma aliena al contempo aggregante e disgregante.
Giampietro prendendo atto che troppo spesso, colui che abita il mondo cementificato avverte le membra costrette e la mente stretta nella morsa dei “pensieri murali, ci conduce in un viaggio catartico all’interno di una metropoli frattale, concepita, nata e poi riprodotta all’infinito; una città nella città in cui il lento vagare, si trasforma nella speranza di incontrare finalmente il frattale di noi stessi.
Improvvisamente il territorio dell’inorganico si evolve in stato organico e il cemento, divenuto “fidato” compagno di viaggio, consente di ritrovare il senso del nostro errare. Un bagliore, un fascio di luce, un’intuizione dell’idea di dimensione d’infinito, ci invita a superare i limiti della propria natura fisica, svelando alla mente l’eterno divenire.
Let’s then choose where and how we want to live our lives, “which future we would like to be” so that we can intensely enjoy it.
Let’s start from a new point of view and welcome Fabio Giampietro’s invitation to leave the normality behind, the dull sight of the ordinary life. Let’s look up and change our point of view, sailing towards free unknown. The main role is played by the city, exactly by the skyscraper, status symbol of the XX century and main character in our everyday movie: the life. The plot’ starting point is Babele, exemplification of the human desire to reach and gain unheard-of peaks, irrepressible wish to cross every bound. Nevertheless, it is common knowledge that the result was not good, but, probably, thank to the consequent dispersion and confusion, today we can benefit from the different singularities typical of every individual.
The world through which Giampietro guides everyone who wants to experience the vertigo, the bravery, the unusual, is a raised trip among the metropolis’ arteries, into a body made of concrete that daily throbs and tells the story of who walks and lives down to earth but thinks and dreams above the line.
It has been few years now ever since Fabio Giampietro chose to tell about Cony Island, ravished by the beauty of its landscape. He throws us into the first Luna Park of the history and makes us savour that particular atmosphere. However, this is more than a fun fair: the Wonder Wheel and the delight places are pervaded by dull atmosphere, crumbling sometimes, as if they want to recall the devastating fire in 1932, which changed this magic territory’s destiny. Giampietro starts from this very place, genesis of the urban experimentation, new way of looking at architecture, that will lead to Manhattan’ skyscrapers. It is a radical change in the way of conceiving the city, so very well described in Delirious New York by Reem Koolhaas, source of inspiration for the artist from Milan to enter into the meanders of his megalopolis.
If at that time New York was an unicum, an extraordinary case, a laboratory of artificial, technological and futuristic research, nowadays the town planning concerns abigger number of cities, where the border between artefact, reality and nature seems to be vanished.
Fabio Giampietro’ sharp look is not limited to the bird’s-eye view and the consequent feeling of dizziness. In his last artistic production, he guides the observer’s eyes beyond the ostensible limits and he urges him to pass the painted layer, reaching the pigments’ texture. The metropolis becomes an image-maker thanks to its structure, its buildings and streets; it embodies an alive shape, it takes the features of a living being. As the physical presence of the citizens and their thoughts have enlarged so much to totally pervade the space. The artist’s dreamed city not only welcomes and tells the human being’ stories but it deeply shares these so that it takes human features.
The city does not change its architectural structure but it changes its identity, becoming impregnated with human spirit. Giampietro is aware of the fact that today that the caos reign supreme over the city. But caos is not only mere disorganised disorder; it is, above all disinclination to put yourself to the test, loathing to the risk of experimentations. The human being cruises in a space that he does not know, where he does not find himself and is not acknowledged. This imbalance reduces the two identities man and city, outwardly in step with each other, to an alien level, unifying and disintegrating at the same time.
There are gestures, strong draws that suddenly become weak and less intense, like memories. If the artist chose colours like sepia, black and white to tell the American dream, today it is the city itself that produces easily and in big amount a useful pigment for the artist: the smog. The city’s products – defined by Giampietro as “the colours of everyday’s life” - are pieces of that mosaic swarming with no life.
Giampietro’s city is a fractal- metropolis, conceived, born and endlessly reproduced so to become a city into a city. More and more often the one who lives this world made of concrete, feels his body and mind caught in the grip of “mural thoughts”. We cruise looking for nothing but hoping to meet the fractal of ourselves sooner or later.
Organic status became inorganic, where the concrete is the only fellow traveller, suddenly find again the meaning of their err in a beam of light. This is an intuition that, urging to go over one’s physical nature, reveals to the mind the perpetual becoming.
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Fabio Giampietro
Testo di A.M.Martini
Se per Yves Klein un mondo nuovo ha bisogno di un uomo nuovo, attualmente è altrettanto autentica e improcrastinabile l’urgenza opposta: un uomo nuovo ha bisogno di un mondo nuovo. Forse è un gatto che si morde la coda, probabilmente la seconda ipotesi è imprescindibile dalla prima, ma l’attuale dimensione vitale impone una radicale presa di coscienza e un’immediata inversione di marcia. È venuto forse il tempo di decidere se cercare ad ogni costo di conseguire il miraggio di un Mondo nuovo , appannaggio di una società apparentemente priva di preoccupazioni, felice, in buona salute, dove non esiste la povertà, ma che per ottenere tali “risultati” ha dovuto sacrificare, l’amore, la diversità culturale, l’arte, la famiglia, la filosofia, la scienza, la religione e la letteratura.
Allora decidiamo, dove e come vogliamo vivere, “quale futuro vorremmo essere” in modo da poterlo vivere intensamente.
Iniziamo da un nuovo punto di vista, proviamo ad accogliere l’invito di Fabio Giampietro e abbandoniamo il consueto, l’ordinario occhio che osserva con vista piatta e alziamo lo sguardo, cambiamo prospettiva veleggiando verso un libero ignoto. Protagonista della ricerca dell’artista milanese sono la città e il gratta-cielo, elementi simbolo del XX secolo e ancora tra gli interpreti principali del film che viviamo ogni giorno: la vita. La radice di provenienza è certamente Babele, esemplificazione del desiderio umano di raggiungere e ottenere vette inaudite, brama irreprimibile di spingersi oltre ogni limite. Il risultato tuttavia come sappiamo non fu dei migliori, ma probabilmente grazie alla dispersione e confusione che si venne a creare, oggi possiamo beneficiare della diversità che contraddistingue ogni singolo uomo.
L’itinerario attraverso il quale Giampietro conduce chiunque abbia volontà di vivere l’esperienza della vertigine dell’audacia, del fremito dell’inusitato, è un viaggio “sopraelevato”, tra le arterie della metropoli, in un corpo di cemento, che pulsa quotidianamente raccontando una storia, di chi cammina e vive con i piedi per terra, ma che pensa e sogna oltre il limite codificato.
Ormai è trascorso qualche anno da quando Fabio Giampietro decide di raccontare Coney Island, o meglio rapito dal fascino di quei paesaggi, ci proietta nel primo Luna Park della storia, facendoci assaporare parte di quell’atmosfera. Qui tuttavia il parco non è solo dei divertimenti, ma la Wonder Wheel e i luoghi del diletto sono pervasi da atmosfere plumbee, a volte fatiscenti, quasi a voler ricordare il devastante incendio, che nel 1932 cambiò le sorti di questo territorio magico. Giampietro parte proprio da questi spazi, genesi della sperimentazione urbanistica, nuovo modo di fare architettura, che vedrà poi la sua evoluzione nei grattacieli di Manhattan. Una trasformazione radicale nel modo di concepire la città, così bene descritto in Delirious New York , testo dal quale lo stesso artista trae ispirazione per addentrarsi nei meandri delle sue megalopoli.
Se allora la Grande Mela era un unicum, caso straordinario e laboratorio di ricerca di esperienza artificiali, tecnologiche e futuristiche, oggi l’urbanistica è un aspetto che riguarda un numero sempre maggiori di città, dove il confine tra artefatto, esistente e naturale sembra essere svanito.
Ecco che lo sguardo penetrante di Fabio Giampietro non si circoscrive alla visione aerea e alla conseguente sensazione della vertigine, ma nell’ultima produzione artistica, egli conduce l’occhio del fruitore oltre i limiti apparenti e lo esorta ad addentrarsi sotto l’involucro della pittura, tra le trame della stratificazione materica del pigmento. La metropoli diviene immaginifica con le sue conformazioni, con gli edifici, con le strade; essa incarna una configurazione vitale, assume le fattezze del vivente, come se la presenza e il pensiero degli abitanti metropolitani si ampliassero a tal punto da pervaderne lo spazio. La città che l’artista fantastica, non solo accoglie e racconta le storie dell’uomo, ma ne diviene profondamente partecipe tanto da assumerne le sembianze. I luoghi, le vie, le piazze, i palazzi da statici prodotti strutturali, divengono elementi dinamici, creando le tessere di un mosaico labirintico, brulicante di vita. Il sottosuolo urbano si muove, si contorce ribollendo fino a fare affiorare in superficie un mondo che per troppo tempo ha represso i suoi istinti di sensibilità emotiva. Finalmente l’uomo libera il pensiero, abbandona la maschera, lasciandosi librare tra i suoi ricordi, tra il tempo e la storia, permettendo così di giungere ad una reale primavera del sé. Ecco che le visioni oniriche si fanno icone della storia dell’arte, affrescandoci e quindi trasponendo in tangibile alcuni temi ricorrenti nella mente umana: lo stupore, la paura e il coraggio proprie della Medusa del Caravaggio; la morte, la religione e l’invito a considerare sempre nuovi punti di vista, riconducibili al Cristo Morto del Mantegna; l’attestazione della forza e della magnificenza della natura, antitetica alla fragilità dell’uomo, compaiono come simboli nella Grande Onda di Hokusai. La città non soccombe, ma risvegliata da un lungo letargo immobilizzante, genera un effetto “metromorfoso”; lascia apparentemente intatta la sua originaria struttura spaziale e architettonica, muta d’identità impregnandosi dei sogni o dei desideri, che avvolgono costantemente lo spirito umano. È giunta l’ora del distacco, del lungo e improcrastinabile viaggio antropico attraverso e dentro l’immagine, costituita dalla proiezione del desiderio di evasione dal reale. Giampietro ha ben presente che a regnare nelle metropoli è il caos, inteso non come puro disordine disorganizzativo, ma come sorta di idiosincrasia allergica al rischio concepito come pura sperimentazione. L’uomo vaga senza meta in uno spazio che non conosce, in cui non si ritrova e dal quale non è riconosciuto; uno squilibrio che riduce le due identità uomo-città apparentemente armoniche, in una forma aliena al contempo aggregante e disgregante.
Giampietro prendendo atto che troppo spesso, colui che abita il mondo cementificato avverte le membra costrette e la mente stretta nella morsa dei “pensieri murali, ci conduce in un viaggio catartico all’interno di una metropoli frattale, concepita, nata e poi riprodotta all’infinito; una città nella città in cui il lento vagare, si trasforma nella speranza di incontrare finalmente il frattale di noi stessi.
Improvvisamente il territorio dell’inorganico si evolve in stato organico e il cemento, divenuto “fidato” compagno di viaggio, consente di ritrovare il senso del nostro errare. Un bagliore, un fascio di luce, un’intuizione dell’idea di dimensione d’infinito, ci invita a superare i limiti della propria natura fisica, svelando alla mente l’eterno divenire.