MANUEL FELISI Tempo Immobile
TEMPO IMMOBILE
a cura di Alberto Mattia Martini
Esiste un tempo qualitativo non riducibile a quello spazializzato dagli orologi?
Secondo il filosofo Henri Louis Bergson questo è possibile: un tempo che non è solamente concepito tramite i concetti e le teorie scientifiche, ma che avanza nella direzione degli stati di coscienza, focalizzati su una visione di tempo nel quale gli istanti sono unici ed irripetibili. Possiamo quindi parlare di tempo della vita e cioè di un tempo che può apportare e provocare noia, disagio, fastidio, e pertanto non riusciamo a "dare tempo al tempo", perché ci appare infinito. Tuttavia il tempo può anche "volare" nel suo svolgersi, scapparci di mano, un tempo che si avvicina più alla spiritualità e che pretende la memoria con il passato e l'immaginazione del domani. Esiste così un flusso della vita, uno slancio vitale creatore perpetuo di nuove forme.
Siamo immersi in un tempo immobile, in quello messo in scena da Manuel Felisi, non staticamente incapace di procedere ed evolversi, bensì un'impronta indelebile che, servendosi della memoria, diviene costitutiva della coscienza. Manuel Felisi ormai da "tempo" riflette e lavora appunto sul concetto di tempo, della memoria, dei ricordi, del passato in connessione con il presente, una sensazione che non rimane o si perde e svanisce nell'ansia del futuro, ma continua ad esistere nel "senso" del presente.
Il lavoro di Manuel Felisi verte principalmente sui ricordi dell'artista ma anche quelli di tutti noi, sulla memoria intima, personale, che successivamente diviene collettiva. La ricerca di Felisi è indirizzata da sempre sul tentativo di provare a fermare il tempo, aspetto naturalmente impossibile nel mondo reale, ma realizzabile all'interno di un ambiente liquido, che l'artista crea e trasmette con le sue opere, un tempo dominato dalle emozioni e dalle sensazioni della reminescenza.
La mostra presso Fabbrica Eos parte prevalentemente da questi aspetti, un Tempo immobile, come sottolinea anche il titolo dell'esposizione, all'interno della quale si è pensato di ideare un luogo "immaginifico - esistente ", dove il tempo si mostri al fruitore come sospeso, appunto immobile per l'intera durata della stessa.
Un tempo quasi metafisico, solo apparentemente statico, ma in continuo divenire, che parte dal passato, dal ricordo, per poi modificarsi e quindi evolversi nel presente.
Per poter mettere in atto questa reminiscenza che conduce ad una sorta di anamnesi, Felisi si serve spesso dell'acqua, esattamente della pioggia, facendo piovere sugli oggetti, sulle "cose", su elementi che ne vengono inevitabilmente consunti, modificandone l'entità stessa, pervadendone lo spazio, tuttavia non trasformandone totalmente l'identità, ma concependone una ulteriore.
Tutto ebbe inizio ormai parecchio "tempo addietro", in occasione di una mostra curata dal sottoscritto presso lo Spazio Oberdan di Milano: Felisi per la prima volta si avvalse dell'acqua, conducendoci ed immergendoci al'interno di una stanza, dove ogni oggetto e l'assenza della presenza umana erano lambite e bagnate dalla pioggia.
La pioggia pervadeva la stanza, colpendo ogni cosa, tamburellando e scandendo un ritmo che assomigliava ad un monito e ad un picchiettio perpetuo. L'ambiente e gli oggetti svelavano un "vivere di doppia vita": quella primigenia, per la quale erano stati creati e pensati ed una seconda affiorata al reale per mezzo dello scandire ripetuto delle gocce, che ne tramutavano la consistenza fisico-materica e al contempo la dimensione incorporea.
Un impossibile che diviene reale e possibile, capovolgendo e stravolgendo le apparenti leggi dell'ovvio, del consueto con il quale siamo abituati a relazionarci e quindi in grado di instradare ed orientare il nostro pensiero.
L'acqua "tra le mani" di Manuel Felisi rompe gli argini del limite imposto o innalzato dalla mente, troppo spesso confinata e rinchiusa dalle nostre stesse paure o dallo scetticismo nell'immaginare "un altro dove".
"Tutta la natura sussurra i suoi segreti a noi attraverso i suoi suoni. I suoni che erano precedentemente incomprensibili alla nostra anima, ora si trasformano nella lingua espressiva della natura". Come ci ricorda Rudolf Steiner non dobbiamo dimenticare di ricercare e vivere la naturalità, "risintonizzarci" con i principi ed i ritmi della natura, rimparare ad osservare ed ascoltare la dimensione congenita dalla quale proveniamo. Questo è ciò che mette in atto Manuel Felisi quando si inoltra nella dimensione di osservazione del contesto naturale; analisi ed ascolto percettivo della pioggia, come suono generativo dal quale partire per comunicare con la dimensione antropica.
Il racconto della natura attraverso la pioggia incontra la musica, come nel caso del pianoforte che Felisi fece suonare a Vinicio Capossela all'interno della suggestiva cornice della Rotonda della Besana: il gesto creativo dell'uomo e della natura si liquefanno divenendo un tutt'uno.
Quando infatti Seneca dice. "Omnis ars imitatio naturae", sostiene proprio che l'idea della natura si identifica nell'arte e quindi ogni forma artistica assume le vesti dell'ortofonia intesa come "voce" della natura in modo da poter comunicare con l'uomo.
Il dialogo tra acqua, quindi natura, ed espressività umana, si esplica perfettamente nell'opera Una sola: un' istallazione composta unicamente da una goccia d'acqua, che cade dal soffitto della galleria in modo continuativo, scandita nel tempo, il cui rumore è amplificato da un apposito microfono che ne diffonde il suono del gocciare nello spazio espositivo. Acqua/pioggia risolutiva, purificatrice, fonte di energia ineluttabilmente vitale, che scende non a caso all'interno di questo luogo, dove la magia dell'arte, del pensiero e della creatività convivono, interagiscono e si propagano da sempre all'unisono.
L’opera d’arte, che può essere definita tale, vive fuori dal tempo e dallo spazio, al di là ed al di sopra dello stesso ambiente che l’ha espressa e concretata come necessità d’interpretazione di un particolare momento. Vivono di questa essenza le installazioni Tempo immobile e Tana.
Una Tana, così lo ha pensato Felisi come titolo dell'opera installativa che, consiste in un ambiente ricostruito in una struttura architettonica, al quale si accede per mezzo dell'anta di un vecchio armadio a specchio, attraverso la quale si entrerà in una sorta di luogo costellato da abiti appesi. Il fruitore si introduce in un percorso della memoria legata al nostro passato, a ciò che ha indossato e quindi a ciò che siamo stati oppure ad una memoria collettiva di corpi vuoti, involucri di presenze che sono passate attraverso quei vestiti e che ora hanno lasciato solo la loro assenza, che tuttavia perpetua nel tempo.
Ecco che come primo approccio, l'opera richiede al visitatore l'incontro con il sè, rimandando la propria immagine a colui che accede a questo luogo dal tempo immobile, come per voler pretendere una sorta di abbandono dello scandire del tempo al quale giornalmente facciamo riferimento e con il quale gestiamo e "governiamo" il nostro quotidiano. Qui, all'interno di questo territorio lo scandire ciclico non segue le norme usuali ed ordinarie; lo spazio è assente di tempo e persistente di memoria, di ricordi, di emozioni vissute e sognate, di gesti quotidiani, di profumi percepiti e poi svaniti, di istanti della vita rimasti impressi non solo sugli abiti ma incisi sulla pelle e sulle rughe dei volti.
Gli abiti, gli oggetti, sono i protagonisti anche dell'opera Tempo immobile: elementi della memoria, appartenuti allo stesso artista o a persone a lui care, ma anche vestiti della reminescenza collettiva, orfani di chi li ha utilizzati, ma ancora "pregni" di verità del quotidiano, di attimi rubati all'esistenza, alla storia raccontata e vissuta. L'opera costituita da un congelatore, composto da pareti di vetro, al cui interno sono posti vecchi abiti, che verranno eternati dal ghiaccio stesso.
Gli abiti divengono un'estensione del corpo di chi ha usufruito della loro essenza pratica o concettuale, un racconto dove l'unicità sposta il proprio baricentro egoistico, trasformandosi in tensione altruistica per chiunque lo ambisca o lo desideri.
Congelare nel tentativo di bloccare il tempo, di fermare, fare in modo che i ricordi non svaniscano ma rimangano fissati in eterno. Un tempo immobile, inteso non come lasso di un periodo dove nulla accade, anzi come fase dove il pensiero vive senza confini limitativi, perché come sostiene Sant'Agostino: "Il tempo non esiste, è solo una dimensione dell’anima. Il passato non esiste in quanto non è più, il futuro non esiste in quanto deve ancora essere e il presente è solo un istante inesistente di separazione tra passato e futuro".
a cura di Alberto Mattia Martini
Esiste un tempo qualitativo non riducibile a quello spazializzato dagli orologi?
Secondo il filosofo Henri Louis Bergson questo è possibile: un tempo che non è solamente concepito tramite i concetti e le teorie scientifiche, ma che avanza nella direzione degli stati di coscienza, focalizzati su una visione di tempo nel quale gli istanti sono unici ed irripetibili. Possiamo quindi parlare di tempo della vita e cioè di un tempo che può apportare e provocare noia, disagio, fastidio, e pertanto non riusciamo a "dare tempo al tempo", perché ci appare infinito. Tuttavia il tempo può anche "volare" nel suo svolgersi, scapparci di mano, un tempo che si avvicina più alla spiritualità e che pretende la memoria con il passato e l'immaginazione del domani. Esiste così un flusso della vita, uno slancio vitale creatore perpetuo di nuove forme.
Siamo immersi in un tempo immobile, in quello messo in scena da Manuel Felisi, non staticamente incapace di procedere ed evolversi, bensì un'impronta indelebile che, servendosi della memoria, diviene costitutiva della coscienza. Manuel Felisi ormai da "tempo" riflette e lavora appunto sul concetto di tempo, della memoria, dei ricordi, del passato in connessione con il presente, una sensazione che non rimane o si perde e svanisce nell'ansia del futuro, ma continua ad esistere nel "senso" del presente.
Il lavoro di Manuel Felisi verte principalmente sui ricordi dell'artista ma anche quelli di tutti noi, sulla memoria intima, personale, che successivamente diviene collettiva. La ricerca di Felisi è indirizzata da sempre sul tentativo di provare a fermare il tempo, aspetto naturalmente impossibile nel mondo reale, ma realizzabile all'interno di un ambiente liquido, che l'artista crea e trasmette con le sue opere, un tempo dominato dalle emozioni e dalle sensazioni della reminescenza.
La mostra presso Fabbrica Eos parte prevalentemente da questi aspetti, un Tempo immobile, come sottolinea anche il titolo dell'esposizione, all'interno della quale si è pensato di ideare un luogo "immaginifico - esistente ", dove il tempo si mostri al fruitore come sospeso, appunto immobile per l'intera durata della stessa.
Un tempo quasi metafisico, solo apparentemente statico, ma in continuo divenire, che parte dal passato, dal ricordo, per poi modificarsi e quindi evolversi nel presente.
Per poter mettere in atto questa reminiscenza che conduce ad una sorta di anamnesi, Felisi si serve spesso dell'acqua, esattamente della pioggia, facendo piovere sugli oggetti, sulle "cose", su elementi che ne vengono inevitabilmente consunti, modificandone l'entità stessa, pervadendone lo spazio, tuttavia non trasformandone totalmente l'identità, ma concependone una ulteriore.
Tutto ebbe inizio ormai parecchio "tempo addietro", in occasione di una mostra curata dal sottoscritto presso lo Spazio Oberdan di Milano: Felisi per la prima volta si avvalse dell'acqua, conducendoci ed immergendoci al'interno di una stanza, dove ogni oggetto e l'assenza della presenza umana erano lambite e bagnate dalla pioggia.
La pioggia pervadeva la stanza, colpendo ogni cosa, tamburellando e scandendo un ritmo che assomigliava ad un monito e ad un picchiettio perpetuo. L'ambiente e gli oggetti svelavano un "vivere di doppia vita": quella primigenia, per la quale erano stati creati e pensati ed una seconda affiorata al reale per mezzo dello scandire ripetuto delle gocce, che ne tramutavano la consistenza fisico-materica e al contempo la dimensione incorporea.
Un impossibile che diviene reale e possibile, capovolgendo e stravolgendo le apparenti leggi dell'ovvio, del consueto con il quale siamo abituati a relazionarci e quindi in grado di instradare ed orientare il nostro pensiero.
L'acqua "tra le mani" di Manuel Felisi rompe gli argini del limite imposto o innalzato dalla mente, troppo spesso confinata e rinchiusa dalle nostre stesse paure o dallo scetticismo nell'immaginare "un altro dove".
"Tutta la natura sussurra i suoi segreti a noi attraverso i suoi suoni. I suoni che erano precedentemente incomprensibili alla nostra anima, ora si trasformano nella lingua espressiva della natura". Come ci ricorda Rudolf Steiner non dobbiamo dimenticare di ricercare e vivere la naturalità, "risintonizzarci" con i principi ed i ritmi della natura, rimparare ad osservare ed ascoltare la dimensione congenita dalla quale proveniamo. Questo è ciò che mette in atto Manuel Felisi quando si inoltra nella dimensione di osservazione del contesto naturale; analisi ed ascolto percettivo della pioggia, come suono generativo dal quale partire per comunicare con la dimensione antropica.
Il racconto della natura attraverso la pioggia incontra la musica, come nel caso del pianoforte che Felisi fece suonare a Vinicio Capossela all'interno della suggestiva cornice della Rotonda della Besana: il gesto creativo dell'uomo e della natura si liquefanno divenendo un tutt'uno.
Quando infatti Seneca dice. "Omnis ars imitatio naturae", sostiene proprio che l'idea della natura si identifica nell'arte e quindi ogni forma artistica assume le vesti dell'ortofonia intesa come "voce" della natura in modo da poter comunicare con l'uomo.
Il dialogo tra acqua, quindi natura, ed espressività umana, si esplica perfettamente nell'opera Una sola: un' istallazione composta unicamente da una goccia d'acqua, che cade dal soffitto della galleria in modo continuativo, scandita nel tempo, il cui rumore è amplificato da un apposito microfono che ne diffonde il suono del gocciare nello spazio espositivo. Acqua/pioggia risolutiva, purificatrice, fonte di energia ineluttabilmente vitale, che scende non a caso all'interno di questo luogo, dove la magia dell'arte, del pensiero e della creatività convivono, interagiscono e si propagano da sempre all'unisono.
L’opera d’arte, che può essere definita tale, vive fuori dal tempo e dallo spazio, al di là ed al di sopra dello stesso ambiente che l’ha espressa e concretata come necessità d’interpretazione di un particolare momento. Vivono di questa essenza le installazioni Tempo immobile e Tana.
Una Tana, così lo ha pensato Felisi come titolo dell'opera installativa che, consiste in un ambiente ricostruito in una struttura architettonica, al quale si accede per mezzo dell'anta di un vecchio armadio a specchio, attraverso la quale si entrerà in una sorta di luogo costellato da abiti appesi. Il fruitore si introduce in un percorso della memoria legata al nostro passato, a ciò che ha indossato e quindi a ciò che siamo stati oppure ad una memoria collettiva di corpi vuoti, involucri di presenze che sono passate attraverso quei vestiti e che ora hanno lasciato solo la loro assenza, che tuttavia perpetua nel tempo.
Ecco che come primo approccio, l'opera richiede al visitatore l'incontro con il sè, rimandando la propria immagine a colui che accede a questo luogo dal tempo immobile, come per voler pretendere una sorta di abbandono dello scandire del tempo al quale giornalmente facciamo riferimento e con il quale gestiamo e "governiamo" il nostro quotidiano. Qui, all'interno di questo territorio lo scandire ciclico non segue le norme usuali ed ordinarie; lo spazio è assente di tempo e persistente di memoria, di ricordi, di emozioni vissute e sognate, di gesti quotidiani, di profumi percepiti e poi svaniti, di istanti della vita rimasti impressi non solo sugli abiti ma incisi sulla pelle e sulle rughe dei volti.
Gli abiti, gli oggetti, sono i protagonisti anche dell'opera Tempo immobile: elementi della memoria, appartenuti allo stesso artista o a persone a lui care, ma anche vestiti della reminescenza collettiva, orfani di chi li ha utilizzati, ma ancora "pregni" di verità del quotidiano, di attimi rubati all'esistenza, alla storia raccontata e vissuta. L'opera costituita da un congelatore, composto da pareti di vetro, al cui interno sono posti vecchi abiti, che verranno eternati dal ghiaccio stesso.
Gli abiti divengono un'estensione del corpo di chi ha usufruito della loro essenza pratica o concettuale, un racconto dove l'unicità sposta il proprio baricentro egoistico, trasformandosi in tensione altruistica per chiunque lo ambisca o lo desideri.
Congelare nel tentativo di bloccare il tempo, di fermare, fare in modo che i ricordi non svaniscano ma rimangano fissati in eterno. Un tempo immobile, inteso non come lasso di un periodo dove nulla accade, anzi come fase dove il pensiero vive senza confini limitativi, perché come sostiene Sant'Agostino: "Il tempo non esiste, è solo una dimensione dell’anima. Il passato non esiste in quanto non è più, il futuro non esiste in quanto deve ancora essere e il presente è solo un istante inesistente di separazione tra passato e futuro".